Noleggio camper 2021: listino aggiornato
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Riportiamo alcune idee per i vostri Viaggi in Camper, prese dalle nostre vacanze e da idee dei nostri amici e clienti che hanno noleggiato un camper con noi. Destinazioni in Italia e all’estero da fare in famiglia o con gli amici. I vostri amici camperisti Claudia e Massimo, Quelli dei Camper.
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Il dubbio che nasce spontaneo è se siamo in regola con il codice della strada, ma visto che due dei quattro bambini hanno meno di 10 anni ci rassicuriamo dicendoci “ma certo perché la legge dice che si possono trasportare un numero di persone pari a quelle omologate più due bambini sotto i dieci anni“.
È vero che il codice della strada al comma 5 dell’articolo 169 consente di Viaggiare in soprannumero in Camper, ma solo per i veicoli individuati nelle lettere “A” e “C” dell’articolo 54 del codice della strada, mentre l’autocaravan è definito alla lettera “M”. Vediamo nello specifico cosa dice il codice dalla strada.
1. Gli autoveicoli sono veicoli a motore con almeno quattro ruote, esclusi i motoveicoli, e si distinguono in:
a) autovetture: veicoli destinati al trasporto di persone, aventi al massimo nove posti, compreso quello del conducente;
b) autobus: veicoli destinati al trasporto di persone equipaggiati con più di nove posti compreso quello del conducente;
c) autoveicoli per trasporto promiscuo: veicoli aventi una massa complessiva a pieno carico non superiore a 3,5 t o 4,5 t se a trazione elettrica o a batteria, destinati al trasporto di persone e di cose e capaci di contenere al massimo
nove posti compreso quello del conducente;
d) autocarri: veicoli destinati al trasporto di cose e delle persone addette all’uso o al trasporto delle cose stesse;
e) trattori stradali: veicoli destinati esclusivamente al traino di rimorchi o semirimorchi;
f) autoveicoli per trasporti specifici: veicoli destinati al trasporto di determinate cose o di persone in particolari condizioni, caratterizzati dall’essere muniti permanentemente di speciali attrezzature relative a tale scopo;
g) autoveicoli per uso speciale: veicoli caratterizzati dall’essere muniti permanentemente di speciali attrezzature e destinati prevalentemente al trasporto proprio. Su tali veicoli è consentito il trasporto del personale e dei materiali connessi col ciclo operativo delle attrezzature e di persone e cose connesse alla destinazione d’uso delle attrezzature stesse;
h) autotreni: complessi di veicoli costituiti da due unità distinte, agganciate, delle quali una motrice. Ai soli fini della applicazione dell’art. 61, commi 1 e 2, costituiscono un’unica unità gli autotreni caratterizzati in modo permanente da particolari attrezzature per il trasporto di cose determinate nel regolamento.
In ogni caso se vengono superate le dimensioni massime di cui all’art. 61, il veicolo o il trasporto è considerato eccezionale;
i) autoarticolati: complessi di veicoli costituiti da un trattore e da un semirimorchio;
l) autosnodati: autobus composti da due tronconi rigidi collegati tra loro da una sezione snodata. Su questi tipi di veicoli i compartimenti viaggiatori situati in ciascuno dei due tronconi rigidi sono comunicanti. La sezione snodata permette la libera circolazione dei viaggiatori tra i tronconi rigidi. La connessione e la disgiunzione delle due parti possono essere effettuate soltanto in officina;
m) autocaravan: veicoli aventi una speciale carrozzeria ed attrezzati permanentemente per essere adibiti al trasporto e all’alloggio di sette persone al massimo, compreso il conducente;
n) mezzi d’opera: veicoli o complessi di veicoli dotati di particolare attrezzatura per il carico e il trasporto di materiali di impiego o di risulta dell’attività edilizia, stradale, di escavazione mineraria e materiali assimilati ovvero che completano, durante la marcia, il ciclo produttivo di specifici materiali per la costruzione edilizia; tali veicoli o complessi di veicoli possono essere adibiti a trasporti in eccedenza ai limiti di massa stabiliti nell’art. 62 e non superiori a quelli di cui all’art. 10, comma 8, e comunque nel rispetto dei limiti dimensionali fissati nell’art. 61. I mezzi d’opera devono essere, altresì, idonei allo specifico impiego nei cantieri o utilizzabili a uso misto su strada e
fuori strada.
2. Nel regolamento sono elencati, in relazione alle speciali attrezzature di cui sono muniti, i tipi di autoveicoli da immatricolare come autoveicoli per trasporti specifici ed autoveicoli per usi speciali.
L’articolo 169 comma 5 consente il soprannumero solo sulle autovetture e sugli autoveicoli adibiti al trasporto promiscuo di persone e cose che sono invece elencati nelle lettere A e C.
Art. 169. Trasporto di persone, animali e oggetti sui veicoli a motore.
5. Sulle autovetture (lettera A articolo 54 n.d.r.) e sugli autoveicoli adibiti al trasporto promiscuo di persone e cose (lettera C articolo 54 n.d.r.) è consentito il trasporto in soprannumero sui posti posteriori di due ragazzi di età inferiore a dieci anni a condizione che siano accompagnati da almeno un passeggero di età non inferiore ad anni sedici.
Parigi, Vienna, Londra, Praga, Barcellona, Budapest: quando si tratta di scegliere il luogo in cui trascorrere il Capodanno, ecco le mete che vengono subito in mente.
Difficile invece che si prenda in considerazione Bruxelles, troppo spesso associata all’immagine di città istituzionale e un po’ noiosa, capitale dell’Unione Europea ma anche di un paese cuscinetto che nei secoli è stato il campo di battaglia preferito dei suoi più potenti vicini (Waterloo e le Ardenne, per fare un esempio, sono da queste parti).
E invece chi si avventura nelle sue strade rimane sorpreso di trovare una città multietnica, vivace e affascinante, che ha saputo amalgamare tradizione e modernità in una combinazione di sfarzosi edifici e caratteristici mercatini, singolari musei e fumose birrerie, con una popolazione cordiale e una dimensione umana che consente tranquillamente di muoversi a piedi.
Se non bastasse, è situata al centro di uno stato di modesta estensione dotato di una rete ferroviaria rapida ed efficiente, che la rende un’ottima base di partenza per almeno tre fughe di un giorno: Anversa, Bruges e Gand.
La città nella palude Che Bruxelles sia una città originale lo si percepisce subito all’uscita della stazione centrale, scorgendo le immagini di Tintin e del fedele cane Milou che campeggiano sulla cima di un palazzo.
Ma come, questa è la capitale dell’Europa e si viene accolti da un fumetto? Bruxelles, in effetti, vive di contrasti e contraddizioni: a iniziare dalla sua situazione linguistica che la vede capoluogo, ufficialmente bilingue, di una nazione divisa tra i fiamminghi a nord, che parlano una lingua simile all’olandese, e i valloni a sud, che parlano francese.
Questa condizione è resa ancora più complessa dalle nutrite comunità di immigrati africani, turchi e mediorientali, in un coacervo di idiomi e usanze che rendono la città simpatica a prima vista. Senza considerare che un quarto dei suoi abitanti è composto da diplomatici e funzionari delle istituzioni europee, fattore che porta a oltre il 30% la popolazione di origine straniera. Bruxelles significa letteralmente “paese nella palude”, e quello che stupisce a prima vista è di trovarsi in una città tutt’altro che linda e ordinata come la presenza degli uffici comunitari farebbe pensare.
Ma questo disordine, anziché risultare spiacevole, dà una sensazione di vitalità ed energia con i negozi etnici che si alternano ad aromatiche birrerie, l’odore del kebab che si mischia a quello dei cavolini di Bruxelles, il vociare di ragazzini arabi unito alla schioppettante parlata di un vecchio fiammingo con la pipa in bocca.
E’ quindi con un misto di curiosità e stupore che ci si dirige verso la città bassa, un tempo operaia e mercantile, in eterno e vitale contrasto con la città alta, ordinata residenza di nobili e benestanti. L’esuberante cuore storico si estende intorno al salotto buono di Bruxelles, a quella che viene considerata una delle piazze più eleganti del mondo: la Grand’Place.
Per raggiungerla ci si inoltra in un dedalo di stradine acciottolate i cui nomi rievocano le origini commerciali del quartiere, e improvvisamente la piazza si apre, incastonata tra gli edifici barocchi e neogotici delle antiche corporazioni dei mestieri con facciate dorate, colonne, timpani, fregi, in un delicato e sfarzoso merletto di decorazioni i cui motivi ornamentali e architettonici rimandano alle attività dei committenti: birrai, barcaioli, arcieri, carpentieri.
A dominare il tutto la mole del maestoso municipio gotico, con la sua torre a cuspidi e guglie di 96 metri che svetta altissima sulla piazza. In contrasto con tanta magnificenza, appena pochi passi per imbattersi nell’irriverente simbolo della città: il Manneken Pis, una piccola statua di bronzo che raffigura un bimbo nell’atto di fare pipì.
Lasciata la Grand’Place, è piacevole passeggiare nelle strette vie che la circondano, allontanandosi lentamente dalla zona più turistica per entrare in una Bruxelles vera, schietta, fatta di botteghe di artigiani e di brasserie, dove il solitario palazzetto barocco convive con fatiscenti case a schiera o con il bidone traboccante di rifiuti.
E nel pomeriggio, con i piedi indolenziti dalla lunga passeggiata, niente di meglio che rifugiarsi in una vecchia birreria di quelle frequentate dai bruxelloises, come la Taverne Greenwich di Rue des Chartreux: un’oasi di pace in stile art nouveau dove gustare un boccale fra giocatori di scacchi e impiegati che si concedono una trappista prima di rincasare.
Esposizioni universali Assaporata la traboccante vitalità della città bassa, è inevitabile dedicare un paio di giorni alla maestosa monumentalità di quella alta, con i suoi ampi viali fiancheggiati dalle residenze signorili, il palazzo reale, la mistica solennità della cattedrale gotica di San Michele Arcangelo e Santa Gudula, ma soprattutto con una serie di musei nei quali trascorrere ore piacevoli. Immancabile il Museo Reale delle Belle Arti, diviso nelle due sezioni di arte antica e moderna, che espone fra l’altro le opere dei figli prediletti di queste terre: Rubens, Bosch, van Eyck, Bruegel, Folon, Magritte.
Oppure il più originale Museo degli Strumenti Musicali, ospitato nel capolavoro in ferro battuto e ghisa dei magazzini liberty Old England (pochi sanno che Adolphe Sax, l’inventore del sassofono, era belga).
Da non perdere, poi, lo spassoso Centre Belge de la Bande Dessinée, ovvero il Museo del Fumetto, anche questo collocato in un vecchio edificio commerciale: si tratta dei magazzini Waucquez, progettati da Victor Horta nel 1906.
Il maestro del liberty seppe creare architetture di rara suggestione e bellezza, con una progettazione integrale che si estendeva dagli spazi esterni a quelli interni fino allo studio delle luci, degli arredi e perfino dell’oggettistica.
Andiamo allora a cercare, dopo aver curiosato fra le scintillanti vetrine di Avenue Louise, le cosiddette Case di Horta lungo l’itinerario art nouveau nei quartieri di Ixelles e Saint Gilles: dalla sinuosa eleganza della casa Tassel agli elementi metallici finemente lavorati della casa Solvay, dall’audace facciata della casa van Eetveldee per finire alla casa-museo Maison e Atelier Horta, realizzata come sua dimora personale e che, soprattutto all’interno, esprime tutto il genio creativo dell’architetto belga.
Tempi moderni Come Parigi ha la Torre Eiffel, Bruxelles ha l’Atomium: una poderosa e al tempo stesso aerea costruzione di 103 metri di altezza che rappresenta una molecola di ferro ingrandita 165 miliardi di volte, realizzata per l’Esposizione Universale del 1958. Situata all’interno del parco Heysel (tristemente noto perché nel 1985 trentanove tifosi perlopiù italiani morirono nel crollo di un settore del vicino stadio di calcio), è stata recentemente restaurata: si può passeggiarci sotto o anche salire all’interno, passando da una all’altra delle sfere di 18 metri di diametro e visitando le mostre ivi ospitate oppure mangiando nel ristorante situato in quella più alta, da cui il panorama della città si ammira dagli oblò.
Nei dintorni, fra l’altro, si trova un vasto parcheggio che risulta fra le migliori basi per la sosta con il v.r. Per finire, non si può mancare una visita alle svettanti architetture moderne del quartiere delle istituzioni europee.
Denso di vita durante la settimana lavorativa, si trasforma in una sorta di deserto in occasione di vacanze e festività, quando la grande massa degli eurocrati prende il volo verso casa. Alla vista un po’ surreale della Commissione e del Parlamento Europeo – un mostro di vetro che si è guadagnato il nomignolo di Caprice des Dieux per la somiglianza con il raffinato formaggio – conviene abbinare il Cinquantenaire, i cui vasti prati alberati salgono dolcemente verso il mastodontico arco di trionfo, realizzato nel 1880 per celebrare i cinquant’anni del Belgio indipendente.
Oltre Bruxelles Treni frequenti e poche decine di minuti di viaggio dalla Gare du Midi permettono di raggiungere agevolmente tre splendide città medioevali a nord della capitale. Sono centri che si sviluppano tutti in verticale, con gli svettanti campanili affusolati, le torri sottili e le facciate triangolari, testimoni della ricerca di una spiritualità che si proietta verso il cielo, ma anche della brama di una luce tutt’altro che abbondante nella stagione fredda.
Bruges, capoluogo delle Fiandre occidentali, si trova a 90 chilometri e 50 minuti di ferrovia da Bruxelles.
E’ probabilmente la città medioevale meglio conservata d’Europa, un delizioso borgo costruito sui canali dai quali si alzano case, mulini e opifici. Una presenza turistica sovrabbondante può rendere difficile apprezzarla in pieno, trasformando le strade in fiumane di folla: bisogna allora aspettare la sera – e durante l’inverno non ci vuole molto perché faccia buio – per attendere che la massa dei turisti riprenda la strada di casa e vivere così tutta la suggestione dell’immensa Markt, la piazza principale, che si accende delle luci della notte e delle facciate illuminate che si specchiano nei corsi d’acqua.
L’attesa può essere piacevolmente ingannata davanti a qualche boccale di birra nella fumosa e caratteristica t’Brugs Beertje in Kemelstraat 5, un piccolo e accogliente locale che propone ben duecento qualità di birra.
Ancora più vicino il capoluogo delle Fiandre orientali, Gand, ad appena mezz’ora di treno. Piccola, tranquilla e non meno seducente di Bruges ma sicuramente molto meno affollata, riserva una piacevolissima passeggiata fra Graslei e la Korenlei, considerate le strade più belle di tutta la Fiandra con i loro palazzi medioevali che si specchiano nell’acqua del vecchio porto, per poi addentrarsi nei meandri dell’austero castello di Gravensteen.
A pranzo ci si potrà fermare in una brasserie o anche da Soup Lounge in Zuivelbrugstraat 6, una sorta di fast food della minestra che serve ottime zuppe in tazze tutte differenti e immancabilmente sbeccate.
Anversa, capoluogo dell’omonima provincia, è a 53 chilometri e 50 minuti di treno da Bruxelles.
Adagiata su un’ansa della Schelda con il suo storico porto, la seconda città del Belgio è avvolta spesso in nebbie suggestive, con un raffinato nucleo antico – testimone del suo ruolo di baricentro dell’economia europea fra il XIV e il XVI secolo – che si sviluppa intorno al Grote Markt.
Da Tarvisio basta percorrere in Camper 200 chilometri di comoda autostrada: un paio d’ore o poco più per ritrovarsi in una delle mete più frequentate della Mitteleuropa e, soprattutto, nel cuore di un territorio che sa offrire al turista (e a chi ci vive) un ventaglio di interessi con ben pochi eguali in tutto il continente.
Il nome, Salzburgerland, già ci suggerisce che lo splendido capoluogo è il filo conduttore di una visita in cui la grande cultura è il motivo principale, ma non sono da meno le tradizioni popolari gelosamente custodite e un ambiente naturale in cui immergersi con gli strumenti del pleinair.
Lungo la Salzach una volta giunti a Salisburgo, a breve distanza dal centro il parcheggio Mirabell accoglierà il v.r. anche per il pernottamento (dall’autunno alla primavera è l’unica struttura ad offrire questo servizio, essendo chiusi i pur ottimi campeggi nelle immediate vicinanze della città). Dopodiché, indossato un buon paio di scarpe o tirate giù le bici, potremo dedicarci con comodo alla visita.
Ad agevolare l’esplorazione urbana si rivela particolarmente utile la Salzburg Card, una tessera che dà diritto a viaggiare gratuitamente sui mezzi pubblici e comprende, a costo zero o ridotto, l’ingresso a decine di attrazioni e di raccolte espositive; basta ad esempio visitare le due case di Mozart e prendere la funicolare della fortezza di Hohensalzburg per ripagarne il prezzo.
Musei ce ne sono di tutti i tipi e per ogni gusto, dall’arte moderna del Rupertinum alle collezioni del Barockmuseum, dai giocattoli dello Spielzeugmuseum allo Stiegl’s Brauwelt in cui scoprire la storia della birra con tanto di degustazione conclusiva.
Ma il primo impatto rimane quello con la ricchissima veste monumentale della città, dominata dalla rocca che sorge in cima a una collinetta: dalla sommità del possente edificio, una delle più grandi costruzioni militari che il Medioevo abbia lasciato nell’Europa centrale, si gode una vista senza pari inquadrando tetti, campanili, torri e il sinuoso corso della Salzach.
Tra le numerose chiese spicca il duomo in forme barocche ma la cui fondazione risale all’anno 767; dell’VII secolo è anche l’abbazia benedettina di Sankt Peter, non lontano dalla quale si trova l’antico cimitero addossato alla parete rocciosa del Monchsberg. Il lusso della nobiltà trionfa nei castello di Mirabell e nell’Heilbrunn con i suoi giochi d’acqua, come pure nelle sale della Residenz in cui abitarono i vescovi fino all’Ottocento.
Dall’una all’altra tappa (indispensabile una buona guida per apprezzarle tutte) si passeggia con costante piacere lungo strade e piazze di un centro storico che ancora conserva la grazia e l’eleganza cinque-seicentesche.
Il circondario si può esplorare in camper, ma meglio ancora in sella alla due ruote per non avere l’assillo del parcheggio che spesso risulta difficile. L’estesa rete di piste ciclabili è un’ottima palestra all’aria aperta, con escursioni che si possono compiere in una giornata o anche solo in poche ore, raggiungendo numerosi luoghi d’interesse.
Un percorso tra i più godibili è quello che si snoda lungo l’argine della Salzach e in circa 6 chilometri giunge al bivio per Anthering: lo imboccheremo entrando in un bosco, inserito in una riserva naturale, dove è facile incontrare piccoli branchi di cinghiali con i loro cuccioli (l’ovvio consiglio è di rimanere sulla pista, come avvertono anche gli sguardi un po’ minacciosi dei maschi).
Si fatica un po’ a superare la collina dopo Anthering, ma saremo ripagati dalla vista sul fiume e sull’intera vallata mentre il tracciato si porta su stradine campestri che attraversano minuscoli villaggi.
A Obertrum, percorsi una ventina di chilometri dal punto di partenza, si ammirano l’alto campanile e la parrocchiale gotica per poi dirigersi sulle sponde dell’Obertrumer See.
La pista ora prosegue sulla striscia di terra che separa il lago dal vicino Grabensee e costeggia altresì il Mattsee con l’omonima cittadina.
Da qui inizia il rientro, risalendo in direzione di Schleedorf con altre splendide vedute paesaggistiche, si costeggia il Wallersee per un tratto e, superata Seekirchen, sempre seguendo la pista si fa ritorno a Salisburgo. In tutto sono circa 70 chilometri che, diluiti in un’intera giornata con varie soste, consentono di farsi un’ottima idea del territorio.
Storie di sale La Salzkammergutweg, il percorso tematico dei laghi salisburghesi, forma una specie di otto abbracciando i bacini a nord di Salisburgo e quelli ad est, che abbiamo appena visitato; poi si insinua nell’estremo lembo meridionale dell’Austria Superiore verso l’Hallstättersee. Ed è questa una tappa da non mancare, cominciando dalla cittadina di Hallstatt che da sola vale un paio di giorni di visita: con la sua rilassante passeggiata lungolago e le case abbarbicate sul fianco della montagna, ci ha catturato per la sua posizione, la tranquillità, le numerose opportunità turistiche (come la grotta di ghiaccio nel vicino villaggio di Obertraun e alcune funivie che salgono sui monti circostanti).
Ma uno dei motivi più avvincenti di questa cittadina è il suo remoto passato, legato all’estrazione del sale: una tradizione plurimillenaria che sembra permeare ogni angolo del territorio. “L’antico cimitero… ha fatto entrare Hallstatt nei libri di storia: i minatori celti hanno sotterrato nel leggero terriccio di questo prato i loro morti e i segni di una cultura legata agli scavi di salgemma, i cui inizi si perdono nel grigiore del tempo della pietra. Già i cacciatori del Neolitico erano saliti fino a questa zona inospitale attirati dalle fonti di acqua salsa e dalle pietre di sale, lasciando accette, cocci, tracce prive d’ornamento.
Ma tra il IX e il IV secolo avanti Cristo gli scavatori di salgemma avevano portato la loro cultura a una fioritura talmente stupenda che i ricercatori e gli archeologi dei nostri tempi hanno battezzato un’epoca intera, il periodo del passaggio in Europa dall’età del bronzo a quella del ferro, con il nome di questa stretta valle, luogo di ritrovamenti preziosi: l’epoca di Hallstatt”. Così lo scrittore Christoph Ransmayr riassume il fascino e il valore di una storia che travalica i confini locali per assumere rilevanza mondiale, come ha ratificato anche l’Unesco che ha dichiarato la zona di Hallstatt e Dachstein patrimonio dell’umanità.
A completare il quadro, nel museo cittadino si possono visitare ben 26 salette in cui vengono illustrate la geologia del posto, l’industria del sale e le presenze culturali dei Celti e del Romani, fino agli eventi degli ultimi secoli (tra cui un incendio divampato per l’imperizia della moglie del fornaio, che nella notte del 20 settembre 1750 divorò la città).
La vicina miniera di salgemma – visitabile dalla fine di aprile alla fine di ottobre – risulta essere la più antica del mondo ed è celebre anche per il ritrovamento, avvenuto nel 2002, della salma di uno scavatore sorpreso da una frana in epoca preistorica e perfettamente conservata proprio grazie al sale.
L’organizzazione fornisce l’abbigliamento e le attrezzature necessarie, mentre un divertente minatore-robot illustra le tecniche estrattive; l’unico neo è la mancanza di spiegazioni in lingue diverse dal tedesco, rendendo necessario prenotare in anticipo il servizio di guida in italiano.
L’ingresso della miniera si può raggiungere a piedi, in un’ora abbondante di salita che tuttavia consente di ammirare lo splendido paesaggio sottostante, oppure con una cremagliera che in breve tempo sale alla locanda alpina Rudolfsturm, un tempo baluardo a difesa dei giacimenti; la soluzione migliore è combinare l’andata in cabinovia con il ritorno a piedi.
La conoscenza di un altro aspetto dell’industria del sale (che ha impieghi non solo nella nutrizione ma anche nella sicurezza stradale, nella produzione di carta e tessili e persino nell’estrazione del petrolio, poiché serve a stabilizzare i fori delle trivelle) è offerta dalla bellissima escursione a piedi con partenza da Hallstatt e arrivo ad Ebensee sulle tracce dell'”oro bianco”.
Il minerale disciolto nell’acqua viene incanalato in una pipeline, che oggi è in materiale sintetico ma in origine era una conduttura di legno ottenuta unendo migliaia di tronchi fino a coprire una distanza di 42 chilometri.
Il liquido ha una salinità del 30% e, quando giunge ad Ebensee, viene riscaldato per far evaporare l’acqua e ricavarne nuovamente il sale.
Il percorso turistico, diviso in quattro tappe di una decina di chilometri l’una, parte dalle vicinanze della miniera e si snoda tra boschi, rocce scoscese, ruscelli, valli e lungo il fiume in un paesaggio tra i più affascinanti del Salisburghese, toccando cittadine come Bad Goisern e la già vista Bad Ischl e seguendo per alcuni tratti un’altra delle piste ciclabili della regione. Dopo questo lungo excursus nella storia sarà piacevole fare ritorno ad Hallstatt per gustarne ancora la serena atmosfera, passeggiando tra piazze e stradine e concedendosi una pausa di relax in uno dei suoi caffè, prima di riprendere la via della città di Mozart e salutare il Salzburgerland.
Vicenza è una città dai due volti, da un lato, è una moderna città industriale, che si colloca tra i capisaldi del mitico nord est. Dall’altro, è una città ricca di storia, segnata da un marchio prestigioso come quello del Palladio. L’aspetto industriale di Vicenza può essere descritto con pochi numeri: sono 85.000 le aziende presenti sul territorio, di queste oltre 1.200 sono dedicate all’antica attività delle lavorazioni artigianali dell’oro di cui ne trasformano un quantitativo superiore alle 200 tonnellate l’anno.
L’altra faccia di Vicenza si presenta con un biglietto da visita di tutto rispetto: dal 15 dicembre 1994, Vicenza è stata inserita nella lista dei beni patrimonio dell’umanità, nella quale risultano iscritti i ventitre monumenti Palladiani del centro storico e tre ville site al di fuori dell’antica cinta muraria, pure realizzate dal famoso architetto.
Nel 1996 il riconoscimento dell’UNESCO è stato esteso fino a includere anche le ville palladiane dell’intero territorio provinciale.
La città del palladio può dunque fregiarsi del titolo di patrimonio dell’umanità poiché come si legge nella motivazione “essa costituisce una realizzazione artistica eccezionale per i numerosi contributi architettonici di Andrea Palladio che, integrati in un tessuto storico, ne determinano il carattere d’insieme”.
La città e le opere del Palladio hanno inoltre esercitato una forte influenza sulla storia dell’architettura, dettando le regole dell’urbanesimo nella maggior parte dei paesi europei e del mondo intero.
Vicenza è una fra le più antiche città del veneto. Il cinquecento fu il suo secolo d’oro
il patriziato ricco, che già nel periodo della Rinascenza aveva cominciato ad edificare bei palazzi, nel secolo XVI arricchì la città di magnifici monumenti architettonici dovuti in gran parte, ad Andra Palladio, uno fra i più grandi architetti del 500 ed ai suoi discepoli e continuatori.
Andrea Palladio è oggi unanimemente riconosciuto come il più importante architetto che il mondo occidentale abbia mai prodotto. Negli ultimi anni, il declino del movimento modernista in architettura ha generato un nuovo interesse per lo stile classico e per le opere del Palladio. Sparse nel Vicentino e nel Veneto a testimonianza della sua arte, decine di magnifiche ville e di sontuosi edifici sono il testamento imperituro del suo genio architettonico.
In tutto il mondo occidentale vi sono centinaia di migliaia di abitazioni, di edifici pubblici e di chiese dalla facciata simmetrica, con semicolonne sormontate da un frontone, che derivano dai progetti di Andra Palladio.
Fra i monumenti più significativi scaturiti dal genio del Palladio segnaliamo il Teatro Olimpico di Vicenza simbolo maestoso e pregiatissimo dell’arte architettonica palladiana e il più antico teatro coperto esistente al mondo.
Al suo interno il visitatore non può rimanere indifferente: attorno a lui si erge uno dei maggiori capolavori di tutti i tempi.
Nel 1580, l’Accademia Olimpica di Vicenza, circolo culturale aristocratico, diede incarico ad Andrea Palladio di progettare uno spazio per rappresentazioni e cerimonie.
Il Palladio completò il progetto del teatro ma non fece in tempo a portare a termine la realizzazione che fu affidata all’architetto vicentino Vincenzo Scamozzi.
Lungo le strade della provincia di Vicenza, qualche volta invisibili all’affrettato viaggiatore, vi sono edifici che testimoniano i tempi passati in cui l’abitare e il trascorrere le ore in casa e in campagna procurava gioia intensa: le Ville Vicentine.
Alcune di uno splendore incomparabile, altre di modesta fattura, alcune superbamente ricomposte nella loro originale bellezza, altre cadenti con i segni del tempo e del degrado, costituiscono l’originale diversità della provincia di Vicenza.
Tra i molti itinerari possibili, abbiamo scelto quello che ha come meta i Colli Berici.
Partendo da Vicenza, la prima tappa ci porta a Montecchio Maggiore e alla Villa Cordellina Lombardi progettata dall’architetto Giorgio Massari, con evidente ispirazione a schemi Palladiani. Si prosegue per Sarego dove si trova Villa da Porto, detta “la favorita” opera dell’architetto Muttoni e si arriva, passando in mezzo a rigogliosi vigneti, alla principale località della zona: Lonigo, sede del consorzio di tutela dei vini DOC dei colli Berici.
Sopra un’altura che domina la cittadina, s’offre imponente alla visuale Villa Pisani detta la “rocca pisana”, opera di Scamozzi del 1576. Ad essa si accede attraverso una stradina in salita che ne aumenta il fascino man mano che ci si avvicina: lineare e priva di decorazioni, la villa si presenta come un solido cubo ora severo nei lati chiusi, ora più gentile nella facciata centrale animata da sei colonne che s’apre verso lo spazio e la natura circostante con una grandiosa scalinata.
Sempre a Longino, ma più in basso, ci aspetta l’elegante centro storico: Palazzo Pisani, costruzione rinascimentale del 1557, la quattrocentesca chiesa di Santa Maria dei Miracoli il bel teatro comunale, le fanno da nobile cornice.
Ancora generosi vitigni e rigogliose colture di accompagnano sino alla prossima meta, Bagnolo di Lonigo, per ammirare un altro gioiello Palladiano: Villa Pisani Bonetti.
Dei due monumentali prospetti venne realizzato solamente quello verso il fiume Guà. Il salone centrale, collegato con l’ingresso attraverso una serie di volte ed inondato dalla luce proveniente dalla finestra terminale, costituisce una delle soluzioni architettoniche più felici del nostro autore.
In un susseguirsi di prati verdi e di dolci pendii, che in autunno si ammantano di strepitosi colori, ecco apparire in tutta la sua imponenza, in quel di Orgiano, Villa Fracanzan Piovene, felice invenzione dell’architetto Muttoni(1710).
Essa è resa celebre dal grandioso avancorpo centrale che ne esalta la natura barocca, dalla ricercatezza delle decorazioni e, in particolare dalla famosa cucina con l’acquaio in marmo rosso.
Le prossime tappe sono Poiana Maggiore (Villa Poiana) e Noventa Vicentina (Villa Barbarigo Loredam), si prosegue per Agugliaro (Villa dal Verme), Mossano (Villa Pigafetta Araldi Camerini) e per Costozza di Longare (Villa Trento Valmarana d’Areberg Carli, Villa da Schio, Villa Eolia).
Si rientra infine a Vicenza, dove meritano una sosta la Villa Almerico Capra Valmarana, detta “la rotonda”, senz’altro l’opera più notevole del palladio, e villa Valmarana ai nani, un complesso di fabbricati opera dell’architetto Francesco Mattoni.
Camping Vicenza, Strada Pelosa 239 – 36100 Vicenza Tel. 0444 582311
Camping Riviera Via Oxabech – 36010 Asiago Roana (Vicenza) Tel. 0424 66344
Camping Ekar Asiago Loc. Ekar, Strada della Fratellanza – 36012 Asiago Ekar (Vicenza) Tel. 0424 455157
Campeggio Amabile, Tonezza del Cimone tel 0445749108
Camping Club Cerbaro Schio tel 0445 635086
Campeggio Malga Lora. Loc. Malgalora “Gazza” – 36076 Recoaro Terme (Vicenza) Tel. 0445 75970
Campeggio Fanton, Via Recoaro 1000 – 36076 Recoaro Terme (Vicenza) Tel. 0445 77139
Nel silenzio terso della valle si sente imperiosa una voce: “tutti avanti”, “destra indietro”, “sinistra fermi”.
È la voce della guida di rafting che impartisce i comandi all’equipaggio del gommone, che scivola là dietro la riva del fiume rigogliosa di alberi.
Sono allegri, stanno scendendo il fiume Nera seguendone la corrente dal ponte di Vallo di Nera, alto su un colle, a Scheggino, disteso in una piana dove si trova la base nautica Activo Park, la guida timona, decide la rotta e dice come pagaiare, gli altri, adulti e bambini, in tutta sicurezza provano l’ebrezza di una piccola avventura fluviale, le acque del Nera sono veloci ma non tumultuose e spumeggianti, limpide e fresche, anche in estate sono adatte a un rafting divertente per tutte le eta.
Per una discesa più emozionante, per chi ha già un pò di esperienza c’è il vicino fiume Corno, che all’altezza di Triponzo si getta nel Nera, fra le fronde della bassa riva si intravedono i borghi fortificati, un tempo parte di un sistema difensivo e di controllo della valle, spesso osservati solo da lontano come elementi del paesaggio.
scorrendo col gommone si insinua il desiderio di vedere da dentro ciò che si è visto da fuori.
Il biglietto da visita di questo paese è nel cartello che accoglie il visitatore lungo la strada: “Vallo di Nera. Uno dei borghi più belli d’Italia”.
È anche uno dei balconi più belli della Valnerina, da cui si ammirano incantevoli panorami e vastissime fughe di cime.
Il borgo su fondato ne 1217 grazie a una concessione della città di Spoleto e conserva l’assetto medievale nella cinta muraria turrita, nell’impianto urbanistico assai compatto a pianta ellittica, nelle porte di accesso e negli stretti vicoli, dove le auto non passano per l’esiguità dello spazio.
Il dedalo di vicoli si apre su piazzette dove l’arte romanica ha eretto chiese inattese per la loro bellezza, non immaginabile in un posto così piccolo.
Punto d’arrivo della discesa in rafting, Scheggino si distende in lieve pendio sulla riva sinistra del fiume e si innalza bruscamente con i ruderi della torre di avvistamento e tratti della cinta muraria, memorie del castello edificato nella seconda metà del 200.
Monumento principale è la chiesa di S. Nicola con un bel portico d’ingresso e interni affrescati.
Fra palazzi signorili, le pietre del borgo vibrano di archetti, finestrelle, logge, mensole e vicoli.
Oltre la porta la prospettiva cambia completamente, inizia il parco di Valcasana, un’area di acque sorgive e di ricca vegetazione che ospita un laghetto per la pesca e varie strutture turistico sportive.
L’antica strada che dalla Porta Valcasana si allunga fra i monti del massiccio del Coscerno costituisce un itinerario escursionistico di grande interesse ambientale e storico, inizialmente facile e poi più impegnativo verso luoghi dove la parola tempo non si coniuga con fretta, ma con sapere conoscere gustare, osservare e dove esiste il piacere di guardare lontano di mescolarsi in mezzo ai monti, senza la paura di perdersi.
Come arrivare: dall’autostrada A1, uscire a Orte quindi proseguire per Terni, dove si imbocca la strda provinciale 209 che attraversa la Valnerina.
Percorrendo la strada statale 3, Via Flaminia, a Spoleto uscire per Cascia-Norcia finchè non si incrocia la SP 209.
Dall’autostrada A14, a Macerata deviare per Tolentino e proseguire fino alla deviazione per Visso, dove si incrocia la SP 209.
Da un capo all’altro della Valnerina ci sono tante occasioni per visitare il territorio.
Preci:Abbazia di S. Eutizio, fondata nel secolo V, ospita un piccolo museo di reperti legati alla Scuola Chirurgica.
Ferentilli: sotto la chiesa di Santo Stefano, in una cripta conserva numerosi corpo mummificati in modo naturale (visita solo guidata).
S.Anatolia di Narco: abbazia di S.Felice di Narco, del XII secolo, un bell’esempio di architettura umbra.
Sono i prodotti tipici gastronomici a offrirsi come souvenir della Valnerina.
Scheggino, ampio parcheggio fra il fiume nera e l’area turistico-sportiva di Valcasana.
Vallo di Nera: parcheggio sul colle ai piedi del nucleo antico.
Preci: cempeggio presso il centro agri Il Collaccio (www.ilcollaccio.com).
Ferentillo:camper service in località Precetto, all’inizio di via delle Macchie; sosta presso l’agriturismo Le Due Querce.
Comune di Vallo di Nera 0743-616143 , Comune di Scheggino, tel. 0743-623232.
Agriturismo Mulino di Culmolle, frazione Poggio alla Lastra – Santa Sofia, elettricità
In area autorizzata e/o piscina comunale
Activo Pack: Rafting sul Fiume Nera e sul Fiume Corno, Softair, escursioni in Mountain Bike sui sentieri della Valnerina
Pitigliano si trova sulla S.S. 74 il paese si svela agli occhi del turista in tutto il suo fascino mostrando l’imponente cinta muraria e lo splendido acquedotto. Arrivando a Pitigliano, prima del ponte sul Meleta troveremo un cartello che indica la necropoli del Gradone, per raggiungerla non ci basterà far altro che svoltare a destra su una stradina sterrata prima del ponte. Una volta a Pitigliano accederemo al centro storico dalla porta che si trova in piazza Petruccioli.
Costeggiando l’acquedotto verso sinistra si raggiunge l’ingresso della Fortezza Orsini. Grazie alle ristrutturazioni del XVI secolo eseguite da Antonio da Sangallo il giovane, la fortezza ha mantenuto il suo originale aspetto cinquecentesco.
Al suo interno potremo ammirare il Museo diocesano ed il Museo Archeologico Comunale.
In piazza Gregorio VII troveremo la cattedrale settecentesca ed un monumento dedicato agli Orsini.
La nostra visita a Pitigliano continua spostandoci in via Generale Orsini dí dove raggiungeremo la chiesa, in stile romanico, di Santa Maria che si presuppone di origini duecentesche.
Per dare uno sguardo alla cinta muraria più antica bisogna attraversare Porta di Sovana, appena all’esterno potremo riconoscere i resti di mura forse di origine Etrusca.
Vi segnaliamo inoltre il cosiddetto Parco Orsini su Poggio Strozzoni che conserva ancora statue e sedili rupestri per la verità un po’ difficili da individuare a causa della folta vegetazione.
L’insediamento della comunità ebraica nel paese di Pitigliano avvenne nella seconda metà del XVI sec. sotto la protezione dei conti Orsini. Con il successivo passaggio della contea di al Granducato di Toscana di Cosimo II° dei Medici (1608), la situazione mutò radicalmente ed iniziarono gli anni difficili con la chiusura nel ghetto, la discriminazione e l’emarginazione che
perdurarono fino al 1765.
II tempio ebraico, ubicato nel quartiere ebraico nel Vicolo Manin, è stato fondato nel 1598, ha subito alcuni interventi dopo la metà dei ‘700 che prevederono la sovrapposizione di stucchi in rococò, ed infine dopo l’ultima ristrutturazione avvenuta nel 1995 ha riscoperto l’antica espressione classica.
Al suo interno si può visitare l’arredo sacro con l’Aron sulla parete di fondo e al centro la Tevà.
Inoltre numerosi lampadari pendono dal soffitto ornato con scritte bibliche o epigrafi di speciali eventi.
Nella parte superiore, dietro una balaustra intarsiata in legno, si trova il matroneo riservato alle donne mentre nella parte inferiore si trova il locale per il Bagno rituale e, scavati nella roccia, la Macelleria casher e il Forno delle azzime.
È possibile visitare la Sinagoga nel seguente orario : 10-13; 15-17 (chiuso il lunedì e il sabato).
Per informazioni: Comune di Pitigliano, tel. 0564 616322; fax 0564 616738
Antichissima città dalle origini misteriose, deve il suo nome al dio Saturno figlio di Urano e signore degli dei fino a quando uno dei suoi figli non lo avesse spodestato.
La moglie di Saturno, Gea, ogni anno gli dava un figlio che egli stesso, per essere sicuro di annientarlo, lo uccideva mangiandolo vivo.
Quanto continuò quell’orribile banchetto, non è dato sapere, ma un giorno Gea mise al mondo Zeus e lo nascose in una grotta del monte Ida nell’isola di Creta: e così si compirono le profezie, secondo le quali Zeus divenne il nuovo signore dell’Olimpo.
La leggenda vuole che Saturnia, sorta dalle mani stesse del Dio, fosse addirittura la prima città Italica; tuttavia le prime testimonianze di vita attualmente ritrovate, risalgono alla seconda metà dei VIII a.C. come testimoniato dai sepolcreti etruschi scoperti in loc. “Sede di Carlo”. Nel 280 a.C. fu conquistata dai romani. Nell’82 a.C.
Ospitò Mario e fu devastata per rappresaglia dai Sillani. Nel Medioevo, le sue misteriose origini, e la particolarità delle sue sorgenti solforose propiziarono molte leggende.
Si narrava che il diavolo uscisse da qui quando lasciava gli inferi, il
territorio veniva descritto come un luogo dal quale sgorgavano acque stregate, che andavano a depositarsi in pozze fumanti e bollenti, diffondendo nell’aria un acuto odore satanico (zolfo).
Le cronache del tempo ricordano convegni di maghi e di streghe, sortilegi e riti sabbatici.
Nel medioevo conobbe le incursioni saracene.
Caduta nelle mani dei senesi, divenne covo di cospiratori e per questo la stessa Siena la distrusse completamente.
Le terme dalle quali sgorga un’acqua sulfurea alla temperatura di 37° particolarmente gradevole e benefica, sono oggi conosciute in tutto il mondo, ma ebbero una prima struttura organizzativa soltanto nel 1865, quando Bernardino Ciacci provvide a bonificare il terreno della fonte e costruì un efficiente stabilimento termale.
Come si raggiunge: percorrendo la S.S. 74 che si stacca dall’Aurelia ad Albinia, seguire sempre le indicazioni Manciano, e arrivati in paese si prosegue per la S.S. 322 che porta a Montemerano e proseguire poi in direzione Saturnia.
Adesso siamo pronti per iniziare il nostro itinerario cittadino: arrivati in Piazza Vittorio Veneto scopriremo nei giardini e davanti al ristorante iscrizioni e frammenti architettonici tardo repubblicani e imperiali.
Da sottolineare che tutti gli edifici rinvenuti appartengono alle varie fasi
di vita della città (tardo-etrusca, romano e tardo medievale). All’angolo sud della città c’è la Rocca che ci appare come un edificio ricostruito di recente, probabilmente sotto la dominazione senese (‘400), di pianta rettangolare con due torri rotonde su base a scarpata.
Sfortunatamente la nostra analisi si interrompe qui perchè questo edificio appartiene a privati e quindi non è visitabile. Si continua la nostra passeggiata per via della Chiesa, da qui raggiungiamo la strada basolata romana (via Clodia) sulla quale attraverseremo Porta Romana, subito fuori la porta potete scorgere i resti dell’originario muro della colonnina 183 a.C. incastonato nei rifacimenti medievali.
In via Aldobrandeschi si possono ammirare incastrati sul piano stradale una colonna e le basi di altre due resti sicuramente di un edificio pubblico Romano, prendendo adesso la prima stradina a sinistra si possono costeggiare un tratto di mura medievali fino ad arrivare ad una porta detta Fonte Buia.
In prossimità di Piazza del Bagno Secco troveremo le fondamenta di un edificio quadrato di 15 m di lato che si suppone potesse essere un bagno termale romano, continuando in questa direzione e prima di finire la nostra escursione nelle mura cittadine costeggeremo le mura senesi per trovare infine Porta Fiorentina.
Come si raggiunge: arrivati a Saturnia e proseguiamo per Porta Fiorentina superato il cimitero, dopo un centinaio di metri arriveremo in località Pian di Cataverna dove troveremo indicazioni per Usi e per le necropoli di Pian di Palma e del Puntone, proseguendo dovremo attraversare il fiume Albegna e dopo 1 km, sulla destra si aprirà una stradina sterrata che ci condurrà dopo alcune centinaia di metri alla necropoli di Puntone. Qui potremo visitare alcune tombe a Tumulo, le tombe hanno pianta rettangolare ed alcune volte sono divise in due sezioni da un lastrone di travertino.
Entrando in città dall’estremità del centro storico verso l’Argentario si percorre la diga fatta costruire da Leopoldo II nel 1842 e sulla sinistra potrete ammirare il mulino a pianta circolare.
Al tempo degli Spagnoli i mulini erano 9 e servivano a macinare la farina per gli abitanti della città.
Superato il Mulino troviamo il punto dove sono meglio conservate le mura etrusche a grandi blocchi poligonali del IV secolo a.c. Percorrendo corso Italia raggiungeremo piazza Plebiscito
dove si trova il palazzo comunale e successivamente piazza Garibaldi sede del palazzo dei governatore Spagnolo(XVII secolo). Proseguendo si arriverà in piazza IV Novembre dove merita una visita la chiesetta, annessa all’ospedale, di Santa Maria delle Grazie (in antico Santa Maria ad Portam) che conserva un affresco quattrocentesco di scuola senese. Costeggiando il Lungolaguna di Ponente, che conserva anch’esso tratti delle mura etrusche, si raggiunge piazza della Repubblica dove si trova il Duomo.
Di origine romanica presenta i segni della ristrutturazione voluta dagli Orsini nel 1375. In considerazione all’alto basamento su cui sorge la
chiesa (che riprodurrebbe il podio di un tempio preesistente) è da molti sostenuta la tesi dell’esistenza di un tempio etrusco e poi romano sotto il Duomo stesso, tuttavia manca ancora una prova certa che convalidi la tesi. Restano da visitare nel centro urbano la chiesa di S.Francesco che conserva alcune interessanti epigrafi dei periodo spagnolo, la polveriera Guzmann (1692) davanti alla quale si può riconoscere la traccia di una porta nelle mura etrusche, inglobate nelle fortificazioni posteriori.
Dalla città di Orbetello si torna sull’ Aurelia in direzione Roma per uscire al primo svincolo per Ansedonia, da qui seguendo la segnaletica si arriverà agevolmente alla città di Cosa, antica colonia di fondazione romana, poi fortezza bizantina e castello medievale con il mone di Ansedonia.
È aperta al pubblico ed all’interno dell’area di scavo si trova il museo; per informazioni tel. 0564/881421.
La città fu fondata nel 273 a.c. per tenere sotto controllo i precedenti abitanti della zona e respingere gli attacchi degli Etruschi ostili e dei temibili Cartaginesi.
Lo splendore della città tramontò nel 70 a.c. in seguito al saccheggio da parte dei pirati. Ormai quasi del tutto spopolata, nel III secolo conobbe un nuovo periodo florido tra il III e il IV secolo a.c. per essere definitivamente devastata dai Visigoti di Alarico nel V secolo d.c. Le porte di accesso alla città erano tre: a nord-ovest la porta Fiorentina; a nord-est la porta
Romana; a sud-est la porta Marina, l’abitato era circondato da una cinta muraria con 17 torri di avvistamento.
A destra della porta Fiorentina sorgeva una grande magazzino e più avanti la villa (ubicata a fianco dei museo) detta di Quintino Fulvio. Continuando il sentiero in direzione nord-est ci imbattiamo nelle terme dalle quali si accedeva anche al Foro con le sedi dell’attività politica, dove troviamo resti di varie botteghe, la basilica civile, un tempio dedicato alla Concordia ed il carcere.
Dal Foro la via sacra conduceva al punto più alto dei colle. I’arx, dove troveremo i resti dei Capitolium e del tempio dedicato alla triade Giove-Giunone-Minerva simbolo della religione di stato.
Le case dei coloni erano modulari e standardizzate. Ciascuna casa era divisa in due parti, abitazione e orto, e poteva disporre di una cisterna sotterranea, tuttora in tutta l’area della città affiorano dal terreno delle piccole volte semisotterranee, resti appunto delle antiche cisterne suddette.
La classe dirigente abitava invece in case più grandi, ampie e lussuose disposte lungo le strade principali della città.
Coma si raggiunge: i collegamenti con l’isola sono garantiti da regolari traghetti da Porto Santo Stefano.
Appena sbarcati potremo iniziare la nostra visita da Giglio porto dove però
rimane ben poco dell’antico porto Romano, quasi del tutto inglobato dalla costruzione del molo Granducale del 1796.
Sicuramente molto più interessante è Giglio Castello che si trova sulla sommità dell’ isola.
Prima di arrivare in prossimità della cinta muraria (perfettamente conservata) potremo notare alla nostra destra un vecchio faro della fine del’ 700. Una volta giunti a Giglio Castello rimarremo sicuramente colpiti dalla caratteristica struttura del borgo.
La porta di accesso è una struttura estremamente complessa che si presenta come un avancorpo con numerosi archi che permettevano il tiro
incrociato di una fittissima schiera di arceri. Tutto questo apparato difensivo fu costruito per scongiurare i frequentissimi attacchi dei pirati che più di una volta avevano messo in ginocchio gli abitanti dell’isola.
Le fortificazioni fecero il loro dovere e nel 1700 una terribile battaglia fini con la vittoria degli isolani che in memoria di questo scontro hanno conservato nella Chiesa di San Giorgio alcune armi sottratte ai pirati.
Dal Giglio Castello possiamo raggiungere proseguendo verso sud la fonte di San Giorgio dove è conservata l’abside di una piccola chiesa romanica, e non molto distante incapperemo in una sorgente che già i romani avavano canalizzato con un acquedotto che scendeva a servire il porto.
Il Campese è raggiungibile grazie agli autobus che percorrono tutta l’isola; all’estremita della baia c’è una Torre dei primi dei ‘700 in perfette condizioni.
Capitale mondiale del marmo, celebre fin dall’antichità per le sue cave, Carrara è una città che si visita a piedi, mescolandosi ai carraresi, popolo libero per antonomasia, di una gentilezza non affettata e un pò ruvida.
La storia della città è legata all’attività di estrazione del marmo, come testimonia l’ampio utilizzo nell’edilizia e nell’arredo urbano: pavimenti e scalinate, statue e fontane, iscrizioni e le cosiddette “maestaine”, icone marmoree devozionali che si trovano sulle architravi o nelle nicchie delle facciate.
Del borgo medioevale rimane il quartiere del Duomo con vicoli stretti e alte case-torre.Sotto la dinastia dei Cybo-Malaspina furono costruite nuove strade e piazze come Piazza Alberica, chiese e il castello trasformato in palazzo del Principe.
Tra ‘600 e ‘700 Carrara si espande con nuovi edifici barocchi; fra ‘700 e ‘800 viene costruito il Teatro degli Animosi. L’influenza Liberty è riconoscibile nei balconi e nelle insegne dei negozi del centro.
Dal 1876 al 1991 venne costruita la Ferrovia Marmifera, che raccordava attraverso una serie di ponti e gallerie le cave al mare.
Come arrivare a Carrara in Camper?
Percorrendo la A21 Genova- Rosignano fino al casello di Carrara: dall’uscita autostradale voltando a destra si raggiunge Marina di Carrara, a sinistra Carrara centro dove, seguendo la segnaletica, si imbocca la strada per il giro delle cave.
Cosa vedere a Carrara?
Si sosta in uno dei quattro parcheggi dislocati fuori del centro storico. Piazza Alberica è il salotto buono della città, sulla quale si affacciano i più bei palazzi sei-settecenteschi appartenuti alle nobili famiglie carraresi legati alla realtà del marmo.
Spicca fra tutti il rosso Palazzo del medico, al centro della piazza, il Monumento a Maria Beatrice d’Este.
Cuore della città medioevale è Piazza Duomo di forma irregolare e compressa fra le case e la cattedrale, la cui facciata si ammira con fatica.
Innalzato fra l’XI e il XIV secolo e dedicato a S.Andrea , Il Duomo è rivestito in facciata e per parte delsuo sviluppo longitudinale con marmi bianchi e verdi in stile romanico pisano-lucchese. Su un lato della piazza si ammira la Statua del Gigante raffigurante Nettuno: scolpita da Baccio Bandinelli per Andrea Doria, nel 1563 Alberico I decise di utilizzarla come fontana con l’aggiunta di due delfini. Nella stessa piazza, all’angolo con via Finelli, casa pellicia che ospitò Michelangelo quando veniva a scegliere i bianchi statuari per i suoi capolavori.
A Marina di Carrara, il Museo del Marmo è la più grande marmoteca d’Italia.
Sul lungomare, vicino al porto, il Monumento al Buscaiol, di Felice Vatteroni.
La visita ai tre bacini estrattivi di Torano, Fantisritti e Colonnata con una novantina di cave attive è una garanzia quanto a spettacolarità e unicità di panorama.
Dove sostare in Camper a Carrara?
Non ci sono a Carrara aree attrezzate per camperisti. Il camper service più vicino si trova vicino a Avenza, presso il depuratore Lavello, oppure al campeggio Italia di Marina di Massa o al campeggio Dolce sole di Partaccia aperti tutto l’anno.
Vigata è il cuore di una Sicilia che si snoda tra memoria e finzione per descrivere sé stessa. Un palcoscenico immaginario che accoglie le sequenze migliori di un’infinita selezione, montata a regola d’arte da una mano che questa terra la conosce così bene da saperla reinventare morbida e trasognata.
Basta guardarsi attorno per tirar fuori dalle pagine di Andrea Camilleri l’altopiano con le case aggrappate alla roccia, le pietre arroventate dal sole delle ore più calde o rivestite dalla luce dorata di albe e tramonti, le tegole dei tetti aggrappati alla collina, la sensualità barocca delle chiese, i muri e i davanzali tracciati come un immenso labirinto a rilanciare la grandezza di cupole e campanili che si stagliano contro il cielo di un azzurro terso e profondo.
È in mezzo a questi geroglifici stampati sul paesaggio immobile che vive il commissario Montalbano, il poliziotto letterario e televisivo più famoso d’Italia.
Un colpo di spugna restituisce intatti i profumi e le atmosfere di una volta, una Sicilia antica e nobile fatta di ville rurali, chiese barocche, piazze lastricate dove Montalbano si divide fra un delitto, una scaramuccia con Mimì Augello (interpretato da Cesare Bocci) e un piatto di pasta con le sarde.
Chiacchiere in piazza Vigata è Ibla, una teoria di saliscendi che fa da sfondo a innumerevoli momenti della fiction: questa è la parte più antica di Ragusa, ricostruita dopo il terremoto che distrusse la Val di Noto nel 1693. In basso un’esplosione di barocco innestato dalla nobiltà feudale sulla pianta medioevale originaria dell’abitato; in alto la parte nuova, larghe vie, palazzi moderni.
A valle parte il Corso XXV Aprile: sulla sinistra, appena imboccata la strada, il circolo cittadino presta i suoi ambienti alla fantasia. Fondato alla fine dell’Ottocento dai nobili ragusani, nelle sue sale lo scorrere degli anni è un mormorio lontano tra grandi specchi, affreschi, i bicchieri di acqua e anice dietro i vetri delle verande, le interminabili partite a briscola, le sedie impagliate.
Attorno alla piazza le gelaterie preparano deliziosi sorbetti al Nero d’Avola (un vino perfetto anche sulle grigliate di carne, sulle salsicce, sui formaggi pepati) e la più canonica granita alle mandorle, ideale compagna di una bella brioche.
A Santa Maria delle Scale sono state girate alcune delle più belle panoramiche del serial: Ibla si avventa sul fondo del precipizio, infiammata da una luce che sembra voler divorare questo presepe scavato nella roccia. Suggestioni che si ripetono a tavola.
Un vero numero di gastronomia ragusana è la cucina della Locanda Don Serafino al 39 di Via Orfanotrofio, negli antichi bassi di un palazzo nobiliare del Settecento.
Da non perdere i ravioli di carrubo con bottarga di tonno, il coniglio farcito con pistacchi di Bronte e pancetta, il dessert di Ragusano su pasta sfoglia e miele di timo.
Statene certi, Montalbano qui sarebbe di casa.
Quattro passi nel delitto Tagliamo la campagna iblea attraverso una geometria fantastica di strade che asseconda il territorio percorrendone le mille venature.
E in fondo a ognuna di queste, una scoperta: un casolare, un ovile, una torre di avvistamento, o una grotta.
Per visitare quella delle Trabacche è meglio armarsi di buone scarpe, visto che ci sono da saltare almeno dieci muretti prima di raggiungerla, ma ne vale la pena. In questo anfratto il commissario scopre le mummie di due fidanzati stretti nell’ultimo abbraccio e vegliati da un Cane di terracotta.
La caverna è una catacomba di epoca bizantina; al suo interno, tre sepolcreti a baldacchino la rendono unica fra quelle ritrovate in Sicilia. Più avanti, il castello di Donnafugata (non si confondano gli estimatori di Tomasi di Lampedusa, si tratta di un’omonimia) è un’imponente villa costruita nel 1865 dal barone Corrado Arezzo sui ruderi di una rocca trecentesca.
La casa ha 122 stanze e un parco di 8 ettari con finte caverne rivestite di stalattiti prelevate da altre spelonche, giochi d’acqua, un labirinto di pietra, giardini all’italiana, all’inglese e alla francese; i saloni affrescati conservano mobili e dipinti originali.
Nella Gita a Tindari questa è la casa del vecchio boss Balduccio Sinagra: in cima alla scalinata sorvegliata da due sfingi di marmo, affacciato alla balconata sormontata dal loggiato gotico veneziano, il vecchio capomafia svela a Montalbano la soluzione del giallo.
Marinella, dove abita il commissario, è a Punta Secca, a pochi chilometri da Santa Croce Camerina. Il faro bianco circondato dalle case colorate dei pescatori è proprio alle porte del borgo: una grande piazza che si affaccia sul mare, un piccolo bar al centro.
Pochi passi ed ecco la casa del commissario con la lunga veranda, le persiane verdi di legno che si aprono dalla cammara direttamente sulla spiaggia.
Un piccolo paradiso che Salvo divide solo con la sua Livia, l’attrice svizzera Katharina Bohm.
La costa da qui è una lunga virgola dorata interrotta dai colori forti delle barche capovolte, e pare di vederlo il commissario che esce dall’acqua dopo una nuotata, aspettando lo squillo del telefono trascinato fino in riva al mare.
Di fianco alla casa, una prua di cemento con i sedili in marmo si allunga nell’acqua: qui Montalbano si assitta per godersi il calare del sole.
Da Marina di Ragusa la provinciale 25 risale verso il capoluogo.
Dopo pochi chilometri si incontra Villa Criscione dove è stata girata gran parte del film La forma dell’acqua: la casa dell’ingegner Luparello, vittima dell’assassinio che dà il via alla storia, è una splendida masseria fortificata dei primi del Novecento recentemente restaurata, con saloni affrescati, torrioni merlati, giochi d’acqua e ruscelletti che sfociano in una bella piscina all’ombra di un patio circondato da mandorli e carrubi.
Più avanti fermatevi all’Eremo della Giubiliana, una fortezza del Cinquecento costruita dal Cavalieri di Malta e oggi raffinato albergo a cinque stelle con aeroporto privato.
Nella Voce del Violino ci vive l’affascinante Michela Licalzi (interpretata da Alessia Merz) e in una delle sue suite l’antiquario Guido Serravalle (Giovanni Vettorazzo) confessa a Montalbano di essere l’omicida della protagonista. Il caso è chiuso A Modica c’è l’altra chiesa di Vigata: il duomo di San Giorgio svetta su una scalinata che con i suoi 250 gradini attraversa il paese fino al corso principale.
Il prospetto di calcare bianco è tutto un trionfo di barocchetto siciliano con la facciata convessa e concava, i movimenti plastici che si distendono intorno alla cella campanaria.
Solo per un attimo lasciamo le tracce del commissario e seguiamo il profumo del cioccolato visitando la dolceria Bonajuto, un indirizzo per veri gourmet ma anche per semplici golosi: 300 anni di esperienza senza mai tradire la ricetta originaria, solo cacao e nient’altro, in straordinaria abbinata all’essenza di peperoncino, alla cannella, alle scorze di agrumi.
Un altro tesoro sono le ‘mpanatigghi, scrigni di pasta frolla farcita con una felice combinazione di cioccolato e carne bovina tritata.
Tornando verso il mare, Scicli è a due passi. Il palazzo comunale di quest’altro gioiello barocco è il commissariato di Vigata dove vigila personalmente di persona l’agente Catarella (Angelo Russo).
Via Mormino Penna è una delle più belle strade di Sicilia, una spettacolare sequenza di chiese e residenze nobiliari tra cui Palazzo Iacono, in cui è ambientata la questura di Montelusa. Alle spalle, su una rocca, la chiesa di San Matteo; di fronte, Sant’Ignazio custodisce un’insolita statua della Madonna raffigurata a cavallo e con la spada sguainata. Sulla litoranea, a Donnalucata, Salvo dà appuntamento alla bella Ingrid che giunge a bordo di una fiammante Ferrari.
Qui il commissario e la fimmina svidisa si guardano per la prima volta negli occhi, mettendo alla prova la fedeltà di Montalbano per la sua Livia.
Loro non hanno avuto tempo di prendere un gelato, ma voi sì: imperdibile quello alle carrube del bar Blue Moon, dietro una delle case basse che si affacciano sul mare.
Proseguiamo lungo la costa in direzione sud fino a Contrada Sampieri dove l’ex fabbrica di mattoni Pisciotto, la Mannara della Forma dell’acqua, è il teatro dell’omicidio dell’ingegner Luparello.
È un curioso esempio di archeologia industriale di fine Ottocento, con mura a secco.
Da lontano, perso fra la campagna e il mare che bagna una spiaggia di sabbia finissima, sembra un tempio: colonne, archi, volte.
Al porto di Pozzallo, sempre nella Forma dell’acqua, l’eroe di Camilleri per la prima volta se la vede brutta e finisce a terra ferito. Sullo sfondo, la Torre Cabrera e la banchina da cui partono le navi per Malta.
Non resta che tornare a Ibla e aspettare che faccia buio, quando la città vecchia appare come sospesa al chiarore lunare che scende a sfiorare le strade.
Dal vecchio borgo marinaro di Stintino, il passo è breve (con il traghetto) per raggiungere l’Asinara a nord ovest della Sardegna, di una bellezza abbagliante si fa’ fatica a capire la nomea di isola del diavolo, in realtà a tanta magnificenza si contrappone una storia travagliata.
Fu stazione sanitaria di quarantena, un campo di prigionia durante la prima guerra mondiale e uno dei principali supercarceri italiani nel periodi di terrorismo degli anni settanta e nella lotta alla criminalità organizzata.
Soggiornarono allora nel penitenziario di fornelli Renato Curcio, Alberto Franceschini, Raffaele Cutolo, Toto Riina, oltre a una nutrita rappresentanza di detenuti appartenenti all’anonima sarda.
Per scoprire questa perla sarda si può optare per una gita organizzata che prevede di percorrere a scelta con bus, fuoristrada o trenino gommato l’unica strada che attraversa l’intera isola da fornelli a cala d’oliva 25 chilometri di scenari mutevoli dove si possono incontrare anche i piccoli asini bianchi che danno il nome al luogo.
La costa ora frastagliatissima e tormentata nella parte a occidentale, ora dolce e bassa in quella orientale è ricoperta da una profumata macchia mediterranea, battuta quasi sempre da venti sostenuti, sotto la spuma delle onde che si infrangono nelle calette l’asinara elargisce visioni uniche. Contattando gli operatori diving è possibile effettuare le immersioni subacquee nei punti accuratamente individuati e segnalati dell’area protetta Qui in pochi metri d’acqua trasparentissima si potranno incontrare tutte le specie di pesci e molluschi del mediterraneo, dalle cernie brune alle aragoste, dai lucci alle cicale, dai polpi alle ricciole.
Le mura catalene scandite dalle torri racchiudono il delizioso centro storico di Alghero, con i suoi caratteristici vicoli, i palazzi aragonesi e i laboratori dove ancora si lavorano i coralli, fuori da questo abbraccio poco più a ovest le onde si infrangono sul promontorio calcareo del portus nimpharum golfo naturale di acque limpidissime, che si insinua nella costa fra capo caccia e la punta del giglio un immenso e irripetibile dedalo di grotte e gallerie che nei fondali diventa un’oasi vivace di pesci e crostacei.
Tra le vaste praterie di posidonia oceanica questa straordinaria ricchezza è tutelata dal 2002 dall’area protetta di capo caccia isola piana raggiungibile seguendo dapprima la litoranea che da Alghero passa per Fertilia e poi la SP127 bis che percorre tutta la fascia costiera del lungo promontorio.
Giuti allo spiazzo belvedere ai piedi dello sperone roccioso di capo caccia si apre la “escala del cobirol” scala del capiolo 656 gradini scavati nella roccia che scendono alla grotta di Nettuno, fiabesca sequenza di laghetti stretti passaggi e affascinanti concentrazioni calcaree di stalattiti e stalagmiti, al sito si arriva anche via mare in circa un’ora con un imbarcazione che parte da Alghero o più vicino da cala Dragunara.
Ancora più a sud nella provincia di Oristano un altro lembo di Sardegna si presta a una scoperta attenta ed entusiasta.
E’ l’area marina protetta penisola del Sinis isola mal di ventre quindici chilometri di spiagge incastonate da roccia a scogli affioranti dalle acque cristalline.
Come un caleidoscopio variopinto la zona è caratterizzata da differenti situazioni paesaggistiche, nell’area del golfo di Oristano una lingua sabbiosa separa la laguna di Mistras dal mare, mentre oltrepassando capo san marco il litorale diventa più impervio poi degrada a San Giovanni in Sinis e ancora risale con le falesie a Torre Sevo.
La costa più a nord si addolcisce basse scogliere e lunghe spiagge quarzifere lasciano il posto poi a codoni dunali coperti da essenze mediterranee, infine l’area si chiude con le impervie e bianche pareti rocciose di Su Tingiosu.
All’orizzonte si scorgono le sagome dell’isola di mal di ventre e lo scoglio del catalano.
All’interno della riserva marina sono possibili escursioni in barca e itinerari subacquei, ma o sotto l’acqua il viaggio più bello! Chi optasse per un’ esplorazione con lo snorkeling è consigliabile partire dalla spiaggia della caletta alla base della scogliera di capo san marco, per poi seguire il periplo del Capo.
oppure nuotare lungo il tratto di mare tra Seu e Punta Maimoni.
Per i sub i fondali non avranno segreti un’esplosione di coralli, madrepore, spugne, spirografi, molluschi e crostacei e pesci di ogni tipo accompagnerà la passeggiata nelle acque più profonde.
Nella propaggine sud-orintale della Sardegna l’area marina protetta di capo carbonara forma una “v” sulla carta nautica congiungendo il promontorio di Capo Boi a ovest e la secca di levante a sud dell’isola dei cavoli e l’isola di serpentara a est: 8857 ettari di solo mare.
Il territorio è quello di Villasimuius a 49 chilometri da Cagliari.
E’ una delle zone più sorprendenti dell’isola, il litorale è scandito da candide spiagge, strette tra scogliere di granito spesso dalla foggia bizzarra grazie all’azione del maestrale.
All’interno si distinguono i segni lasciati delle popolazioni passate come i nuraghi insediamenti punici e romani, nel mare si apprezzano gli eccezionali fondali che accolgono tra le praterie di posidonia cernie, ricciole e persino branchi di barracuda.
Non lontano dalla vivacissima Costa Smeralda e dalla rinomata località balneare di San Teodoro si staglia all’orizzonte un parallelepipedo stretto e lungo è l’isola di Tavolara dalla mole imponente sottolineata da un’altezza che raggiunge i 560 metri e da un perimetro di soli 6 chilometri.
Al primo sguardo sembra un luogo inaccessibile così segnata da falesie a picco sul mare, ma nella propaggine occidentale si addolcisce nel promontorio detto Spalmatore di Terra in direzione di Porto san Paolo che disegna un lungo litorale dove sono accolte le poche abitazioni dell’isola.
E’ noto che a Tavolara sorge anche una base militare Nato gestita dalla marina militare italiana le cui tre antenne per le telecomunicazioni terrestri alte oltre duecento metri sono ben visibili anche da lontano, meno risaputo invece è che l”isola sul finire del 1700 fu il più piccolo regno del mondo infatti Giuseppe Bertoleoni giunto con la sua famiglia nella allora disabitata Tavolara si autoinsigni il titolo di re con il bene placido del re di Sardegna Carlo Alberto che non lo prese molto in considerazione, eppure venne riconosciuto dall’Inghilterra dalla regina Vittoria, tanto che nel museo di Buckingham Palace a Londra, ancora oggi viene conservata la foto della famiglia reale di Tavalara.
Aneddoti a parte il grande tesoro dell’isola è la sua natura i suoi fondali la flora e la fauna, tanto che dal 1997 è tutelata insieme a Molara e Molarotto da un’area marina protetta.
Sui fondali sabbiosi le praterie di posidonia oceanica costituiscono un articolato ecosistema, mentre i profili sottomarini delle scarpate granitiche e delle falesie carbonatiche, rappresentano altrettanti paradisi da esplorare. Per comprendere l’estrema ricchezza di quest’area basti sapere che sono ben 50 i punti di immersione consigliati, uno fra tutti è quello di Tegghia Liscia, a sud di Tavolara: qui le falesie scendono verticali fino a 22 metri e sul fondo di alghe, si distinguono stelle rosse e all’ombra gorgonie gialle, spugne e alghe rosse.